Recensione di Giacomo Conti, giugno 2011


UN FISCHIO, SAMBA, MORTE
Cabaret mortuario per trio campestre
“Quel che sarete voi, noi siamo adesso: chi si scorda di noi scorda sé stesso”

Scegliere la morte quale soggetto di spettacolo significa forse aggredire di punta uno degli ultimi tabù, in una società protesa all’esaltazione continua di un modello di vita che non prevede falle.
Di morte non si deve parlare: nessuno muore, tutti mancano o non ci sono più.
Non potendo abolirla si è tentato di cancellarla dal discorso pubblico, incoraggiando l’illusione di raggiungere un’eternità raggelata in cui saremo sempre giovani, lisci, sani e virili. O almeno così sembreremo, mentre continueremo ad ammalarci, sfiorire, scivolare come accade da millenni.
O a crollare, stritolati dalla quotidianità e dalle sue incombenze, e a risorgere cento volte al mese.
Misurarsi con la nostra finitezza ha anche valore civile: sdrammatizzare il tabù e ritornare alla morte evento naturale parte integrante della vita, analizzandoci come creature imperfette e bisognose di otium per affrontare l’esistenza. Un monologo-chiave mima le varie fasi di una vita tipo sottolineando un concetto tanto semplice quanto dimenticato: avere un inizio, un decorso e una conclusione fa parte della bellezza (o della sopportabilità?) del nostro percorso sulla Terra.
L’attacco pare illustrare il titolo in maniera esatta e beffarda: una ragazza soffia nel fischietto, parte un samba sincopato e i tre protagonisti si scatenano. Stop alla musica e parte il dibattito sul post-morte e sulla vita eterna. Pare di assistere non visti al cazzeggio che accompagna ogni veglione di capodanno: poi l’ultima parola del titolo viene sviscerata con varie accezioni in un’equilibrata altalena di amarezza e riso, senza perdere l’informalità di fondo che rende vicino il tutto.
L’andamento divagante è compensato da una solida struttura ternaria: tre persone in scena (due attrici e un attore), tre momenti di morte/crollo/rinascita e tre momenti corali.
L’apporto del comico è il marchio di fabbrica della compagnia e risulta consistente, nelle forme di un umorismo nero che ribalta le convenzioni formali bandendo solennità e ipocrisie.
Lo spettacolo perciò gioca ironicamente sul principio di contraddizione cercando di svelare il legame tra pulsioni vitali e consapevolezza della fine: perciò parlare di morte significa parlare di lavoro, di sesso, dell’immancabile cotechino o del panino mummificato di un Mcdonald’s.
Significa sognare un mondo di fratellanza tra le specie animali e invocare una decrescita felice, magari accendendo una bella sigaretta o addentando un hot dog allusivamente confezionato.
Significa scoprire che dietro gli slogan dell’Onda (Noi la crisi non la paghiamo!) può stare acquattato l’urlo belluino della curva e viceversa.
Significa sorprendersi davanti al potenziale esilarante degli epitaffi, del serioso Ballo in fa diesis minore di Branduardi e dell’Alleluja cantati a cappella travestiti da formelle medievali.
Significa assistere ad una presa in giro che diventa un’impressionante rissa, mettendo in luce l’assurdità del male che ci infliggiamo a vicenda invece di far fronte comune contro la consunzione.
Significa che topona è molto meglio di cara estinta per rimanere nei cuori di chi resta.
La messa in scena dimessa fa risaltare al meglio l’affiatamento del trio e gli assoli dei singoli.
C’è solo quanto serve, in sintonia con la scelta di campo per un teatro agile e adattabile a spazi non-convenzionali: un computer per le musiche di scena, una luminaria simil-natalizia, un pulpito laico per i numeri “musicali” che costituiscono i momenti più spassosi.
Sullo sfondo scorrono immagini dei tre, spersi nella campagna nebbiosa come ectoplasmi fluttuanti: la campagna esclusa dallo spazio del teatro rientra in scena, apparendo però distante e livida.
Il pubblico del Tegras Università riempie il Teatro Akropolis di Sestri Ponente e partecipa con generosità ridendo, battendo le mani e applaudendo a scena aperta.
E’ decisamente una sfida superata quella del Gruppo di Teatro Campestre (per gli amici GTC) di Elisabetta Granara, Chiara Valdambrini, Luca Agricola che firmano testo e regia con la collaborazione di Carlo Strazza, Jan Papas e Davide Pastorello.
E un biglietto da visita sicuro per la selezione della giuria e la replica al Teatro della Tosse.