L'orso, una versione tutti in un punto. Novembre 2009

Cechov e lo scherzo drammatico (due proposte da Genova)
Contributo di Ludovica Radif

CECHOV E LO SCHERZO DRAMMATICO
“L’Orso” di A. Çechov, Genova, Auditorium Allende, Teatro dell’Ortica. Gruppo di Teatro Campestre, con Elisabetta Granara, Chiara Valdambrini, Rami Osama Ragab

Genova- Esile e austera, giovane e già sepolta in un lutto ostinato, con tanto di nera veletta, Popova (Elisabetta Granara) la vedova protagonista dell’”Orso” di Çechov, uno dei suoi brevi componimenti giovanili, vive “come in una tana”, per utilizzare le parole del servitore Luka: a recitare è una donna in tuta, Chiara Valdambrini, e in effetti forse il gentil sesso parrebbe più indicato per sostenere tale regime di chiusura totale agli uomini. Ma ecco, qualcuno (Rami Osama Ragab) irrompe a turbare questo languido equilibrio: un creditore del defunto marito di lei esige all’istante il saldo. Inutile la risposta della donna, decisa ma cortese, a rimandare di due giorni il pagamento, nonostante la continua insistenza di quell’uomo.
In un clima improntato a essenzialità, quasi da teatro-studio, tre personaggi si trovano sulla scena a pochi
centimetri di distanza, eppure la padrona stende il bucato, la servitrice, da parte sua, è indaffarata mentre
Smirnov, sempre più maschilista e strafottente, grida da altra zona della casa, non accenna a recedere. Per la
scena, è sufficiente un rialzo a gradini nero, con un girello di oggetti appesi a fili trasparenti: 3 bicchieri, 2 bottiglie, un annaffiatoio, una piantina di edera, un ventaglio nero e due pistole. Oggetti simbolici, che i protagonisti all’occorrenza pescano e poi abbandonano, creando i propri ruoli sotto un unico tetto: le luci fanno brillare schizzi  d’acqua e il roteare di un bicchiere.
Si tratta della terza edizione, riuscita, dello stesso testo approntata dal giovane Gruppo di Teatro Campestre. Una versione (ispirata alla cosmicomica di Calvino) in qualche modo antinomica per il senso di costrizione contro il concetto di teatro all’aperto, rispetto alla suggestiva realizzazione in un ruscello della Val Brevenna nell’estate 2008 (donde appunto il nome di Campestre del gruppo, che nello scorso settembre ha preso parte con successo al Rural Indie Theatre)..
In un crescendo di ardire la donna è ormai determinata a liberarsi dell’importuno, anche a costo di perderci la vita. Vuole una sfida a duello. In quel punto idealmente si verifica un salto narrativo: quel tratto di carattere di lei, quell’audacia insospettabile (non sa neppure impugnare un’arma) lo conquista, lo intriga, lo innamora. In preda a una forte passione, un sentimento sfacciato e traboccante, la vedova si stupisce, tentenna, sotto sotto si compiace, infine accetta il suo abbraccio.
Questo breve scherzo drammatico è denso di significati, scava nei labirinti dei sentimenti umani, passando per la quotidianità; la scelta dello spazio ridotto appare quindi indovinata proprio nella misura in cui riproduce il turbine di passioni all’interno di una sola persona.
Fin dalle prime battute, dal tono un po’ caricato della protagonista, lievemente comico, si intuisce la verità solo epidermica delle sue parole. Quanto all’uomo, l’orso, si poteva pensare anche a una personalità più affascinante, magari anche di un fascino torbido; a ben pensarci, invece, proprio l’assenza di un’attrattiva rende meglio l’apparente mistero del finale, quella passione che dà profondità al personaggio femminile conquistato; non mancano frasi lapidarie e proverbi, “un passero può dare dei punti a un filosofo in gonnella”; anche il protagonista maschile ha un guizzo di intuizione, che potrebbe significare qualcosa di più riguardo al suo pensiero, quando si permette un commento di costume “ma non si è dimenticata di mettere la cipria”.
Lo spettacolo è stato apprezzato da un buon pubblico, che si intuiva frequentatore abitudinario della sala come di una sorta di club.