Se la versione precedente (versione
femminista), con il suo coro di donne poteva prendere spunto dalla tragedia
greca, non dimenticando la base comico-grottesca, questa risente senz’altro dell’influenza
del teatro dell’assurdo. Il testo cechoviano, così regolare nel suo ricorso a
espressioni standardizzate legate a ciascun personaggio, a una climax di
intensità emotiva che dal lutto passa all’ira e poi all’amore, viene qui
trattato come Testo, sequenza di parole staccate dall’azione, producendo una
disarticolazione del linguaggio e una totale discrepanza tra battuta e azione
che ricordano lo stile della Cantatrice
calva o della Lezione.
I personaggi agiscono senza un motivo logico, gli attori rompono con
l’approccio abitudinario al testo di Cechov cercando soluzioni che prendono
spunto dall’accostamento degli anni Ottanta-Novanta con gli anni Settanta, che
cercano il brutto, il dissacrante, il ridicolo, il trash, appunto.
Alcuni aspetti che sono ormai entrati a far parte dello stile del Gruppo
di Teatro Campestre (il canto a cappella, i fiori freschi inevitabilmente
distrutti, l’effetto sorpresa sullo spettatore), vengono qui portati alle
estreme conseguenze.